TRASFERIMENTO AZIONI S.P.A. – CESSIONE D’AZIENDA OCCULTA – IMPOSTA DOVUTA PROPORZIONALMENTE

(Cass, civ., sezione tributaria, sentenza del 13 novembre 2018 n. 29084, in www.cassazione.net)

Nell’ipotesi in cui la cessione di partecipazioni societarie celi in realtà la cessione dell’azienda, , tale negozio deve essere sottoposto all’imposta di registro in misura proporzionale, pari al 3%, anziché in misura fissa. Infatti, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, nell’individuare la struttura del rapporto giuridico tributario dell’atto da sottoporre a registrazione, l’interprete è tenuto a privilegiare la sostanza rispetto alla forma.
Questo è il principio di diritto tributario ribadito dalla Suprema Corte con la pronuncia in commento.
Nel caso di specie, era stata costituita una società tramite conferimento di ramo d’azienda e successivamente la partecipazione totalitaria della neo costituita società era stata ceduta dalla società conferente ad una società terza.
L’Agenzia delle Entrate, ravvisando in tale operazione una cessione di azienda a tutti gli effetti, richiedeva il pagamento dell’imposta in misura proporzionale in luogo di quella fissa.
La società ricorreva in giudizio richiedendo il dichiararsi l’illegittimità della riqualificazione effettuata da parte dell’ente impositore e, sia in primo che secondo grado, la sua domanda veniva rigettata.
Avverso tale pronuncia propone ricorso per Cassazione lamentando, in particolare, l’erronea valutazione da parte della Corte territoriale circa l’atto stipulato, sostenendo che dovesse essere valutata come una mera cessione di partecipazioni e non come una cessione d’azienda e che, come
tale, dovesse essere tassata.
I giudici di seconde cure avevano motivato il loro provvedimento rilevando che, in forza dell’art. 20 del d.p.r. n. 131 del 1986, l’imposta deve essere determinata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti sottoposti a registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente.
La Commissione Tributaria rimarcava le conclusioni a cui era pervenuta precisando che nel caso concreto il collegamento degli atti e le modalità di esecuzione dell’operazione portavano a concludere che si fosse trattato di una “precisa scelta del gruppo necessariamente preordinata e studiata al fine di produrre un effetto sottesso agli stessi atti, volto ad ottenere un risparmio d’imposta”.
Tale argomentazione viene condivisa dalla Corte di Cassazione che rigetta il ricorso. In particolare, i giudici di legittimità hanno ribadito che l’interprete deve appurare la natura intrinseca degli atti e i loro effetti giuridici e non focalizzarsi su quanto formalmente enunciato nel corpo dell’atto. L’imposizione deve essere riferita al risultato conseguito per mezzo di un comportamento unitario e non basandosi su risultati parziali e strumentali, raggiunti tramite un complesso di comportamenti formali, atomisticamente considerati.
Ciò che realmente rileva ai fini dell’imposizione sono gli effetti oggettivamente raggiunti tramite il negozio giuridico, dovendosi collegare l’imposta all’atto come negozio e non all’atto come documento.
Deve sempre essere dato prioritario rilievo alla causa reale dell’operazione instaurata, ovvero lo scopo pratico ad esso sotteso, rispetto alle forme negoziali adoperate dalle parti e al mero tenore letterale delle previsioni contrattuali.
La pronuncia della Corte si colloca sulle orme di numerosi suoi precedenti pronunciamenti, discostandosi dalla sentenza 2054/2017, con la quale la corte era giunta a differenti conclusioni individuando un limite all’attività riqualificatoria dell’ufficio, consistente nella insuperabilità dello schema
negoziale tipico in cui l’atto negoziale portato alla registrazione e’ inquadrabile. La sentenza in commento appare invero critica nei confronti del precedente del 2017 citato, di cui contesta l’assunto principale (sopra esposto) e la mancata attenzione alla causa in concreto, cioè allo scopo pratico del negozio, al di là del modello astratto utilizzato.
La Corte precisa inoltre, a conferma della propria conclusione, che al caso l’esame non può applicarsi l’art. 20 Tuir nella novellata versione ex l. 205/2017, poiché detta norma non ha valore interpretativo, bensì innovativo, pertanto non esplica effetto retroattivo, conseguentemente gli atti antecedenti alla sua entrata in vigore continuano ad essere assoggettati all’imposta di registro secondo la disciplina risultante dalla previgente formulazione dell’art. 20 d.P.R. 131/1986.
Conseguentemente, sulla base di quanto sopra esposto, la Corte rigetta il ricorso sancendo che l’art. 20 sopra richiamato trova applicazione anche nelle ipotesi di più negozi distinti fra loro ma che complessivamente considerati realizzano un unico preordinato risultato, identificabile a seguito di
valutazione unitaria, nella fattispecie, in una cessione di ramo aziendale.