FINANZIAMENTI. CAMBIA L’ORIENTAMENTO SULL’APPLICABILITA’ DELL’IMPOSTA SOSTITUTIVA SUL CAPITALE EROGATO – MUTUI, LA STANGATA DELLA CASSAZIONE – CASSAZIONE, CON SENTENZA DEL 6 FEBBRAIO 2015, N. 2188
(di Angelo Busani, il Il Sole 24 Ore, Norme e Tributi del 10 Giugno 2015)
Qualora un contratto di mutuo contenga una clausola che consente alla Banca mutuante di recedere in presenza di giustificato motivo, il contratto non sconta l’imposta sostitutiva.
Secondo la Corte di Cassazione, l’imposta sostitutiva (nel caso in oggetto dello 0,25%) sul capitale erogato non è dunque applicabile al contratto di mutuo nel quale sia contenuta una clausola che consente all’istituto mutuante di recedere per un «giustificato motivo». Solitamente detta clausola è presente, seppur con diverse sfaccettature, in qualsiasi contratto di finanziamento; secondo i giudici di Cassazione, in tal caso il mutuo andrebbe tassato con l’imposizione ordinaria e cioè, tra l’altro, con l’ipotecaria ad aliquota 2% sull’importo garantito e, quindi, con un carico fiscale maggiorato.
Nel caso concreto l’Agenzia del Territorio di Milano aveva revocato i benefici fiscali concessi ai sensi del D.P.R. n. 601 del 1973, ex art. 15 ed aveva emesso avviso di liquidazione per il recupero delle maggiori imposte in relazione ad un contratto di apertura di credito in conto corrente con garanzia ipotecaria stipulato da una società in accomandita semplice con un istituto di credito, in quanto le parti avevano previsto per laBanca la facoltà di recedere in qualsiasi momento dall’apertura di credito ipotecario al ricorrere di un giustificato motivo in contrasto con la disciplina agevolativa di cui all’art. 15.
Avverso l’avviso di recupero dell’imposta ipotecaria e di bollo le contribuenti proponevano ricorso davanti alla Commissione Tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva con sentenza confermata su appello dell’Ufficio dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Lombardia aveva dunque proposto ricorso per Cassazione l’Agenzia del Territorio.
Con nota critica l’Autore evidenzia come la sentenza in oggetto si inserisca in una sorta di linea che, di fatto, determina un disincentivo alla finanziabilità delle imprese e ciò tenuto conto anche della sentenza del 16 gennaio 2015 n. 695 (*) con cui la Cassazione ha ritenuto dovute imposte che la stessa Agenzia delle Entrate riteneva di non dovere riscuotere (risoluzione n. 121/2011).
La sentenza della Corte di Cassazione in oggetto muta drasticamente il pregresso orientamento secondo cui, ai fini dell’assoggettabilità del finanziamento ad imposta sostitutiva, risultava indifferente la presenza nel contratto di clausole di recesso «non meramente potestative».
L’Autore evidenzia come le poche righe che la Corte di Cassazione dedica alla motivazione della sentenza, disorientano, in quanto sembra che la Suprema Corte confonda la clausola di recesso ad nutum (cioè completamente discrezionale) con quella per giustificato motivo.
In forza della clausola di recesso “ad nutum”, una delle parti contraenti può far cessare gli effetti del contratto e, se il recesso è esercitato dall’istituto di credito, la Banca può richiedere che la parte mutuataria restituisca con effetti immediati il capitale mutuato.
Se, invece, la parte che esercita il recesso “ad nutum” è quella mutuataria, essa sarà tenuta a restituire con effetti immediati il capitale mutuato e gli interessi dovuti.
In presenza di una clausola di recesso ad nutum, l’Autore evidenzia come la giurisprudenza della Corte di Cassazione (4792/2002) (**) e la prassi (risoluzione n. 3/2001/T) sono consolidate nel senso di ritenere il finanziamento a medio-lungo termine meritevole dell’imposta sostitutiva se si tratta di un recesso consentito al mutuatario.
Invece, l’imposta sostitutiva non si renderebbe applicabile se il recesso ad nutum fosse consentito alla banca mutuante, in quanto tale facoltà toglierebbe al contratto di finanziamento la possibilità di essere considerato a medio-lungo termine (e cioè di durata superiore a 18 mesi); caratteristica basilare ai fini dell’applicabilità al mutuo dell’agevolazione suddetta.
L’altra ipotesi analizzata è quella relativa al contratto di mutuo contenente una clausola di recesso per giustificato motivo.
In tale caso la prassi era consolidata nel ritenere la presenza della clausola in parola non ostativa all’applicazione dell’imposta sostitutiva, come confermato dalle risoluzioni n. 68/1998/T e 1/2003/T, nonché, dalla circolare n. 8/2002.
Spesso, tra l’altro, la clausola di recesso per giustificato motivo riproduce il contenuto dell’art. 1186 cod.civ., consentendo al creditore di «chiamare al rientro» il debitore qualora divenga insolvente o non presti le garanzie promesse o diminuisca, per fatto proprio, le garanzie che aveva dato. E proprio il fatto che sia la legge stessa a concedere al creditore la possibilità di recedere da un contratto di finanziamento, nei casi previsti dall’art. 1186 del codice civile, era l’argomento cardine che fino alla sentenza n. 2188/2015 ha
supportato l’applicabilità dell’imposta sostitutiva al mutuo contenente una clausola di recesso non meramente discrezionale.
(*)
Cass. civ., sez. trib., 16 gennaio 2015, n. 695, in Giustizia Civile Massimario 2015, secondo cui “In tema di agevolazioni tributarie per il settore del credito, le operazioni di finanziamento, a cui l’art. 15 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601 accorda un trattamento fiscale di favore, vanno individuate – in base alla “ratio legis” ed al principio secondo cui le norme agevolative sono di stretta interpretazione – in quelle che si
traducono nella provvista di disponibilità finanziarie, cioè nella possibilità di attingere denaro, da impiegare in investimenti produttivi. Ne consegue che i negozi di finanziamento aventi ad oggetto i “rimborsi dei finanziamenti a breve termine”, garantiti da iscrizioni ipotecarie, non avendo ad oggetto un finanziamento, nel senso precisato, ma piuttosto le modalità ed i tempi di recupero del credito già erogato,esulano dall’ambito applicativo della menzionata disciplina”.
(**)
Cass. civ., sez. trib., 3 aprile 2002, n. 4792, in Giur. imp. 2002, 1386, secondo cui “La clausola che permette all’azienda di credito di recedere per giusta causa anche prima della scadenza dei 18 mesi previsti come durata di un contratto di finanziamento, pienamente legittima sul piano civilistico, vale a privare dall’origine il credito della sua natura temporale (medio lungo) richiesta dalla norma di agevolazioni tributarie, degradando la durata del rapporto ad elemento variabile in funzione dell’interesse
dell’azienda”.