RECESSO AL NUTUM – SOCIETA’ CONTRATTA PER UN TERMINE DI DURATA SUPERIORE ALLA NORMALE VITA

(Trib. Torino, sezione prima civile, sentenza del 5 maggio 2017, n. 2363, in giurisprudenza delle imprese)
Ai soci spetta il diritto di recesso ad nutum qualora il termine di durata di una società sia determinato per un periodo di tempo superiore rispetto alla normale durata della vita umana.
Una previsione pari o superiore rispetto alla durata della vita umana, infatti, è assimilabile alla durata sine die (vale a dire a tempo indeterminato), cosicché il socio può recedere in ogni momento dando un preavviso di centoottanta giorni.
È quanto deciso dal Tribunale di Torino con sentenza del 5 maggio 2017, n. 2363.
Il legislatore della riforma del diritto societario ha novellato, tra l’altro, la disciplina in materia di recesso prevedendo una serie di cause di recesso legali inderogabili, legali derogabili e cause volontarie.
L’articolo 2473, comma secondo, cod.civ., si occupa del diritto di recesso nell’ambito delle società a responsabilità limitata e dispone che qualora una società sia contratta a tempo indeterminato, il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno
centottanta giorni, salvo che l’atto costitutivo non preveda un periodo di preavviso di durata maggiore purché non superiore ad un anno.
Dal momento che nel caso di specie lo statuto della società stabiliva che la durata della società era fissata «sino al 31 dicembre 2100» (e la società era stata costituita nell’anno 1998), secondo il giudice torinese era evidente che la previsione di una durata pari a 102 anni fosse assimilabile alla durata a
tempo indeterminato, fattispecie già chiarita in un’altra occasione dalla Corte d’Appello di Bologna (con sentenza del 5 aprile 1997).
Nel caso di specie, inoltre, era accaduto che la comunicazione di recesso inviata dal socio recedente all’amministratore unico della società non fosse stata recapitata al destinatario e fosse stata invece restituita al mittente per compiuta giacenza; di conseguenza il socio recedente si era rivolto all’Autorità giudiziaria per ottenere la dichiarazione giudiziale del proprio avvenuto recesso, necessaria per formalizzare l’iscrizione presso il registro delle imprese.
Accogliento il ricorso, il Tribunale di Torino, ha ritenuto che il recesso del socio fosse stato correttamente esercitato in quanto, trattandosi di un «atto unilaterale recettizio», la comunicazione doveva intendersi ricevuta, ai sensi dell’articolo 1335 del Codice civile, «il giorno in cui» era «stato rilasciato all’indirizzo del destinatario l’avviso di giacenza del plico» (Cass. n. 3707/1999).