CONTRATTO CONCLUSO DAL FALSUS PROCURATOR – FATTISPECIE SOGGETTIVAMENTE COMPLESSA – NECESSITA’ DELLA RATIFICA

(Cass.civ., sezione terza, sentenza del 10 novembre 2016, n. 22891, in Giuffrè)

«Il contratto stipulato dal falsus procurator non è un contratto nullo, né annullabile, ma costituisce una fattispecie soggettivamente complessa, la quale necessita della ratifica del dominus per produrre effetti nei confronti di quest’ultimo». Si tratta di un negozio «“in itinere” o in stato di
pendenza, suscettibile di perfezionamento attraverso la ratifica, oppure, secondo altra preferibile impostazione, [si tratta di un] negozio non invalido né imperfetto, ma soltanto inefficace, quindi sottoposto alla condizione di efficacia della ratifica da parte del dominus».
Ove il falsus procurator abbia contratto in nome e per conto di una società, la ratifica deve provenire dall’organo rappresentativo di detta società e deve essere esplicitata in modo espresso ed inequivocabile la volontà di far propri gli effetti del contratto stipulato sotto falso nome.
È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con sentenza del 10 novembre 2016, n. 22891.
Il caso concreto ha riguardato il giudizio di opposizione relativo ad un decreto ingiuntivo chiesto ed ottenuto da una Banca, nei confronti di una società a responsabilità limitata, del suo amministratore (quale coobbligato in proprio) e di un ulteriore fideiussore, emesso in ragione di un contratto di finanziamento stipulato per l’acquisto di un’automobile. Proposta opposizione avverso il decreto ingiuntivo da parte della società ingiunta (amministratore e fideiussore), gli opponenti avevano contestato la veridicità delle sottoscrizioni apposte nel contratto di finanziamento, cosicché l’Autorità giudiziaria aveva ordinato fosse eseguita una consulenza tecnica d’ufficio grafologica. Dalle risultanze della perizia (c.t.u.) era emersa la falsità della sola sottoscrizione dell’amministratore della società e la veridicità di quella del fideiussore, di conseguenza, era stata ordinata la parziale revoca del decreto ingiuntivo.
Giunta la questione all’attenzione della Suprema Corte di Cassazione, quest’ultima ritiene di dover ricondurre la fattispecie in esame ad un “contratto stipulato sotto nome altrui” o meglio ad un contratto con “sostituzione di persona” e usurpazione del nome del legale rappresentante della società divenuta intestataria del bene acquistato con il finanziamento. Una volta considerate le ricostruzioni della dottrina circa la figura giuridica in esame, i giudici giungono a qualificare la fattispecie come «spendita indebita del nome del (legale rappresentante del) la società», «[c]on la precisazione […] che l’ipotesi non [era] immediatamente riconducibile a quella della rappresentanza diretta, essendo tuttavia possibile l’applicazione in via analogica della relativa disciplina codicistica. Quindi, la società, della quale [era] mancato il consenso ab origine, [era in ogni caso] tutelata con l’inefficacia del
contratto di finanziamento, al quale [era] rimasta estranea».
In conclusione, il contratto doveva essere considerato inefficace pur essendo possibile ratificarlo (ad opera della società).